Raccontata sul grande schermo da Gianni Amelio col film «Il signore delle formiche», la vicenda del filosofo Aldo Braibanti, condannato per plagio con l’accusa di aver sottomesso psicologicamente e fisicamente un suo studente, era stata precedentemente riportata all’attenzione dell’opinione pubblica in un allestimento teatrale della Compagnia Diaghilev. E ora «Il caso Braibanti», su testo di Massimiliano Palmese per la regia di Giuseppe Marini, regista noto per l’eleganza e la potenza espressiva delle sue letture, sia dei classici (vedi la recente produzione Diaghilev di «Casa di Bambola» di Ibsen) che della drammaturgia contemporanea (da Antonio Tarantino ad Heiner Müller), viene presentato all’Auditorium Vallisa di Bari, dal 18 marzo al 2 aprile, per il progetto Teatro Studio 2023, in una ripresa che segue le applaudite rappresentazioni pre-pandemia proposte anche al Teatro Franco Parenti di Milano e al Teatro Villa Torlonia di Roma per la stagione del Teatro Argentina.
Lo spettacolo, interpretato da Fabio Bussotti e Mauro Conte con musiche eseguite dal vivo dal sassofonista Mauro Verrone, ripercorre la storia dell’artista-filosofo Aldo Braibanti, processato in piena contestazione per plagio (con l’accusa morale di omosessualità) in uno dei processi più seguiti e dibattuti nell’Italia di fine anni Sessanta, finito con una condanna di nove anni di reclusione in primo grado (diventati quattro in appello) basata su un’improbabile imposizione delle proprie idee e personalità sul ventunenne Giovanni Sanfratello.
La denuncia contro il piacentino Braibanti, ex-partigiano torturato dai nazifascisti, venne depositata nell’ottobre del 1964 alla Procura della Repubblica di Roma «per aver assoggettato fisicamente e psichicamente» Sanfratello. In realtà il ragazzo, in fuga da una famiglia tradizionalista e bigotta, aveva deciso di seguire le sue inclinazioni ed era andato a vivere a Roma con Braibanti. Non riuscendo a separare la coppia, il padre di Giovanni denunciò l’artista-filosofo con l’accusa di plagio.
Il processo a Braibanti si aprì il 12 giugno 1968, mentre infiammava la contestazione e i giovani di tutto il mondo chiedevano a gran voce più ampie libertà. In molti denunciarono lo scandalo di un processo montato ad arte dalla destra più reazionaria del Paese in combutta con esponenti del clero e della «psichiatria di regime». Dalle colonne dei giornali in favore di Braibanti intervennero Pier Paolo Pasolini, Elsa Morante, Alberto Moravia, Umberto Eco, Marco Pannella, Cesare Musatti e Dacia Maraini. Ma i loro appelli caddero nel vuoto.
«Il processo Braibanti – dice Palmese – fu una vicenda medioevale. Nel ’68, mentre il mondo si trasformava in un luogo meno repressivo, in Italia bastò una “cricca” di avvocati, di psichiatri e di preti, per trasformare una storia d’amore in un “Romeo e Giulietta” omosessuale, in cui i padri per punire i figli non esitano a denunciarli per “plagio” o a sottoporli a coma insulinici ed elettrochoc. E, se ancora oggi nel nostro Paese le stesse cricche politiche, reazionarie e ipocritamente bigotte, si oppongono a una seria legge contro l’omofobia o alle unioni civili per i gay, vuol dire che “Il caso Braibanti” non è una pagina del passato ma storia presente che può deve, ancora, farci indignare».
Il testo dello scrittore e drammaturgo napoletano (finalista al Premio Strega 2006 con «L’amante proibita») è basato sugli atti del processo e su articoli di giornale. «Non ho voluto inventare perché mi sembrava si dovesse trovare solo il giusto tono, un equilibrio tra satira di costume e dramma psicologico, per tenere insieme le parole degli avvocati, così violente, insieme alle loro tesi, così ridicole», racconta Palmese, rimasto “divertito” dalla lettura degli interrogatori e delle arringhe e agghiacciato dalle dichiarazioni omofobiche dei cosiddetti «periti» e dalle cartelle firmate dagli «specialisti in malattie nervose» delle cliniche dove fu rinchiuso il giovane Giovanni Sanfratello.
Prenotazioni al numero 333.1260425. Biglietti online sul circuito Vivaticket.